Mi voglio soffermare

Pubblicato il 16 febbraio 2010

Mi voglio soffermare su due opere di Ferdinando Todesco: "Routine familiare" e "Camera 117".

Con la prima, l'autore ha colto il paradosso coniugale che purtroppo spesso si trova all'origine dell'impossibilità di comunicare all'interno della coppia, quindi di essere felici evitando di scivolare nella noia e nel rancore.

La donna guarda al mondo esterno, mentre l'uomo è totalmente compreso nell'interno delle mura domestiche, con l'unica scappatoia del suo giornale. Tra lui e il mondo esterno ci sono muri. Persino tra lui e la finestra il corpo di lei che gli volta le spalle crea quasi una barriera.

Eppure, ecco il paradosso: è lei che accoglie ed è lui che fugge. Lui è costretto in un ruolo che gli impedisce di essere accogliente, lei è costretta in una prigione che le impedisce di sentirsi sia accogliente che libera. Entrambi prigionieri di ruoli che non appartengono più loro.

La coppia oggi. Ha ancora un senso? Ha trovato la sua rivoluzionaria dimensione? Certo è che l'essere liberi è oggi un valore fin troppo esaltato, mentre essere in coppia costa fatica e sacrificio.

In coppia e nello stesso tempo liberi? Non è forse un paradosso irrisolvibile anche questo? O forse no? Non si può parlare della modernità, della novità e del futuro utilizzando categorie mentali, strumenti di pensiero sorpassati e decrepiti, in quanto ciò ci impedisce di comprendere al meglio il mondo che attualmente ci circonda.
La mia paura è che il vero paradosso dei nostri tempi sia proprio questo: pretendiamo di parlare del nuovo che avanza usando strumenti concettuali obsoleti. Intanto il nostro linguaggio ci sfugge e noi non sappiamo più parlare.

Il quadro "Routine familiare" è una interpretazione intensamente rappresentativa della difficoltà di comunicare, e non solo fra le mura domestiche. Una specie di resa e universale ammissione di impotenza.

Con l'opera "Camera 117" che potrebbe anche avere per titolo "amanti", Todesco ci descrive un incontro amoroso compromesso. E come nel l'opera sopra descritta anche qui i protagonisti si voltano le spalle e non si guardano negli occhi. L'altro è sconosciuto per entrambi, ma questo non li rende felici,non si esprime l'entusiasmo del mistero e del nuovo,ma la tristezza della distanza che non può essere colmata dalla solitudine che si procurano reciprocamente. L'uomo la nasconde dietro l'indifferenza del sonno. La donna sembra ricercare una vicinanza che forse non troverà mai. La solitudine è nella stanza, è dentro i protagonisti. La nudità dei corpi non può superare l'assenza dello sguardo. E' una nudità di corpi che non esprime intimità, ma sottolinea e ci parla dei paraventi sciagurati, irriducibili e insensati che oscurano le nostre anime al resto del mondo. In entrambi i dipinti, ma sopratutto nel secondo, la stanza appare come divisa in due parti nette, una in ombra, l'altra illuminata. La donna è immersa nella luce, l'uomo nell'ombra. Si sottolinea la separazione, l'impossibilità di raggiungersi. Ciascuno è collocato in uno spazio nettamente separato della propria interiore solitudine.

Maria Rosaria Verdicchio